domenica 9 dicembre 2012

Le luci nelle case degli altri

Nevica.
E' una di quelle notti lunghissime e fredde in cui per strada non si incontra nessuno e mi ritrovo a girovagare nel buio insonne di chi cerca risposte. 
Infagottato in un vecchio cappotto mi trascino nella tormenta,tanto contratto da sentire quel familiare dolore ai muscoli,alle mani,a tutto.
E quella lunga strada è il tempo,il freddo la solitudine,la neve le speranze,le illusioni,le aspettative.
Un barbone dei sentimenti,un mendicante di amore.
La questua dura da tutta una vita.
Mi ha fatto abitare case in passato,accendere camini,spolverare mobili,sedere a tavola,fare bucati,appendere tende.
Ma volente o nolente ad un certo punto mi sono sempre ritrovato per strada,a sbirciare dalle finestre le luci nelle case degli altri.
Così mi capitò di bussare a più porte.
Alcune rimasero sbarrate,abitate da diffidenti,che non vollero permettere ad un forestiero di portare in quelle stanze odori sconosciuti,lingue straniere e quello strano bagaglio di estraneità che viaggia in groppa a chi viene da lontano.
Altre porte si aprirono invece e dopo una rapida occhiata fui invitato ad entrare.
Una volta,ad esempio,mi ritrovai ad una tavola imbandita:i padroni di casa seduti alle estremità e tutto uno sciamare di ospiti,di bocche,di mani,a prender posto,a lasciarlo.
Ci si accalcava sul cibo,in 4,in 6,in 10,ma il tutto in uno strano silenzio.Solo mandibole e forchette sui piatti. Sorrisi cordiali e occhi tristi.
Brontolii della pancia sempre vuota nonostante tutto quell'abbuffarsi.
Mi sentii terribilmente a disagio.
Feci domande,protestai,mi rabbuiai ma non ricevetti altra risposta se non quei sorrisi cordiali e quegli occhi tristi,così me ne andai.
Un'altra volta trovai una casa piena di libri,senza la stufa,abitata da una donna sola.
Era intenta a vergare parole sui muri,ossessivamente.
Mi mise in mano inchiostro e pennello,mi invitò a fare altrettanto ed io ubbidii.
Passarono le ore,il freddo mi rattrappiva le dita,mi spaccava le labbra.
Perchè vivere in questo gelo?Per far asciugare l'inchiostro,rispose.
Domandai da mangiare,una tisana,qualunque cosa potesse scaldarmi da dentro.
Ricevetti yogurt e gelati.
Uscii. La tormenta non era peggiore di quella casa.
Poi lo spiraglio di una porta socchiusa mi fece intravedere un camino acceso,mi intrufolai furtivo e due mani mi ghermirono per le spalle,mi spinsero in un ripostiglio.
Superato lo spavento mi trovai accucciato nel buio,abbracciato ad un corpo caldissimo che finalmente dava sollievo al mio.
Non feci domande,amai con passione.
Anche quando si alzò e tornò nella stanza accanto,lasciandomi in attesa.
Ricomparve,mi si gettò addosso.Lo accolsi nuovamente,come una benedizione,mi ci fusi insieme e ancora aspettai,ogni volta che se ne andava.
Solo col trascorrere delle ore capì che non sarebbe rimasto con me,che un'altra voce risuonava al di fuori dello sgabuzzino,rideva cristallina dalla stanza con la luce e col camino.
Aspettai allora il silenzio del loro riposo e sgattaiolai via,nuovamente nel buio di quella strada da cui sentii le sue grida di rabbia giungermi lontane.
Dalle finestre delle case vidi famiglie con bambini giganteschi,grandi come tutta la stanza e adulti intenti a rimpinzarli per farli lievitare ancora.
Altre abitate da coppie mute,o sorde,o cieche.
Sbirciai le case di persone sole,rannicchiate in un angolo.
Altre le vidi sbracciarsi perchè entrassi,piangere,urlare.
Mi affacciai in case vuote,diroccate,sporche o troppo stipate di roba perchè ci si potesse vivere in due.
Non volli cedere allo sconforto e provai ad un'ultima porta.
La casa era piccola,di una forma strana.Proveniva musica dall'interno e la luce aveva una sfumatura azzurra,curiosa.
Mi fu aperto,offerto cibo,un letto,un bagno caldo.
Accettai con gratitudine,mi sdebitai come potevo.
Lavai in terra,cucinai,rammendai calzini.
Mi sentivo finalmente a casa.
Dopo un'ora mi fu chiesto di andarmene.
Rimasi a lungo fuori dalla porta,raspando,come i gatti.
Mi fu riaperto,ricevetti abiti puliti,una fetta di crostata.
Con nuovo zelo spolverai i mobili,adornai la stanza,lessi poesie ad alta voce,ma di nuovo fui messo alla porta.
Aspettai nel freddo,tra la neve. Non capivo.
Attraverso la porta chiusa sentii piangere;lacrime calde dentro,lacrime gelate fuori.
Ogni volta che stavo per andarmene,consumato dalle intemperie,ero accolto ancora,per essere ancora cacciato.
Non so quanto durò,ne chi disse basta per primo,ne se davvero mai qualcuno seppe dire basta.
Quello che so è che qualcun'altro ora abita quella casa.
Quello che so è che per imparare a sopravvivere al freddo non lo si deve interrompe col calore incostante delle case degli altri,che gli occhi sanno scorgere le forme nel buio solo se gli si dà il tempo di abituarcisi. Perciò,a questo punto della lunga notte del tempo,capisco che la saggezza sta nella scelta di abitare la neve.

venerdì 7 dicembre 2012

G.

Puoi togliermi le parole
la presenza
il tepore nel letto.
Puoi privarmi della metà
del vorrei
della maternità promessa.
Squarciami pure l'idea di incontrarti per strada
della tua voce al telefono.
Ma sempre saprò di mancarti
continuerò a sentirmi pensare
bramare,rimpiangere
maledire
ed aspettare.
Impressa su te come l'orma di un calcio
cucita addosso
sutura,aderenza.
Scegli lei per uno specchio che ti fa bello,sicuro
ed in questa bugia
fai la tua prigione.
Scegli lei
non perchè meglio di me
ma perchè di lei tu ti senti migliore.
O così credi.

lunedì 12 novembre 2012

L'epoca della trottola e del comodino

In una piccola traversa di corso Sozzi,molti moltissimi anni fa,c'era un piccolo rigattiere. La bottega era un ammasso accatastato di cianfrusaglie d'ogni tipo e lì si veniva indirizzati quando si cercava di strappare dalle fumose memorie del tempo quegli oggetti che ormai avevano perso il treno del marketing e dell'appetibilità del mercato. Il proprietario era già vecchio e curvo per come lo potevo ricordare da bambina e aveva ereditato dal padre sia i muri sia quell'innata capacità di apprezzare le anticaglie,scorgendone il valore nascosto tra ruggine e polvere,foss'anche puramente simbolico,affettivo. Capitava a volte di vederlo commuoversi di fronte ad una vecchia lampada o ad un cappello logoro e la gente pensava fosse assalito da chissà quali ricordi,infragilito dall'età,dalla solitudine,ma era che lui li leggeva quegli oggetti e sapeva sentire tutto il bagaglio di storie che si trascinavano dietro come pietre nel fagotto di un viaggiatore. Non aveva figli e si era rassegnato a veder morire con se i frutti del lavoro di tutta una vita. Anzi,di due. Si trattava di un luogo poco frequentato ovviamente,ignorato dai più e questo garantiva la custodia della sua magia. Ad entrarci in un qualsiasi giorno lavorativo infatti non si sarebbe sospettato che lì,una volta girato il cartello con la scritta "aperto" e chiusa a chiave la porta,col buio della sera,quel vetusto popolo prendesse vita. Orologi,quadri,bambole,radio a valvole,binocoli e cassapanche si animavano abitando quel piccolo limbo di mondo che esisteva sottovoce,al riparo dalla frenesia della gente e dalle luci dei centri commerciali. Si tenevano dei simposi notturni in cui i più anziani raccontavano ai più giovani storie di guerra,di viaggi e di famiglia. In quel mondo riparato e nascosto la realtà si perpetrava attraverso i racconti:l'unico modo di vivere che non faccia troppa paura. Il vecchio rigattiere sedeva tra loro,su di una logora poltrona,un ammasso di pelle scucita a cui era affezionato come ad una sposa,trascorrendo così le sue notti,circondato da una famiglia numerosa e variegata,i cui membri erano difficili da censire. Da pochi giorni ad esempio era arrivata nel negozio una piccola trottola,intagliata nel legno,dipinta di tutte le sfumature del verde. Era stata venduta al rigattiere per due soldi da una bella donna dai tratti esotici che l'aveva ripescata sgomberando una cantina. Una volta diligentemente catalogata il vecchio l'aveva esposta su di un grosso comodino nero che campeggiava in vetrina e i due avevano finito per fare amicizia. Indisciplinati e vivaci non facevano che parlottare tra loro,disturbando l'assemblea degli anziani,che più volte aveva dovuto riprenderli. Entusiasti progettavano un viaggio in lungo e in largo per il mondo,delineandone i dettagli e immaginandone le avventure,prendendo giusto spunto di quando in quando dalle storie che ormai ascoltavano con un orecchio solo. I mobili antichi e i lampadari d'epoca scuotevano il capo d'innanzi quell'irruente progettualità giovanile,consci dell'inefficacia di qualunque avvertimento avrebbero potuto dar loro:l'impeto,si sa,va lasciato esaurirsi,in attesa che si infranga sulle coste della realtà. Fu in quel periodo che per la prima volta misi piede nel piccolo Negozio Nostalgia. Compivo 8 anni e il mio nonno volle portarmi lì perchè scegliessi il mio regalo. Lui e il vecchio rigattiere erano amici da sempre e,dopo essersi salutati con calore,si sedettero a bere del the,lasciandomi gironzolare con calma tra mensole e armadi,sbirciandomi ogni tanto di sottecchi. Sfogliai qualche grosso libro dalle pagine spesse e odorose,rimasi a lungo imbambolata a guardare i colori di un caleidoscopio rincorrersi,mi avvolsi in un boa di piume rosa e piroettai su me stessa di fronte ad un alto specchio dalla cornice di legno scuro. Era un gioco bellissimo,avrei potuto continuare per ore! Invece mi cadde l'occhio su un oggetto verde,lucido. Una piccola trottola. Me la rigirai tra le mani per un pò,stranamente folgorata;non ebbi alcun dubbio e tornai di corsa dal nonno a mostrargli il mio prezioso bottino. Il vecchio rigattiere mi guardò con una strana espressione,pensai di averlo spaventato. Alzandosi a fatica da una vecchia poltrona di pelle scucita,cercò di dirottarmi verso una mensola carica di bambole di porcellana,dalle ciglia lunghe e i vestiti pizzosi,che mi fecero solo una certa impressione e che rifiutai con tutta la cortesia che ci si può aspettare da una bambina di 8 anni. Allora mi chiese il perchè,lo fece con molta dolcezza,perchè proprio la trottola. Sostenni il suo sguardo seria seria e gli risposi:"Perchè me lo ha chiesto lei." Emise un lungo sospiro e mentre si dirigeva verso la vetrina lo vidi farsi ancora più curvo. Passò una mano torta e nodosa come una radice su di uno strano comodino nero,il più alto e largo che mi fosse mai capitato di vedere;sembrava lo carezzasse. Gli sentii sussurrare un "Mi dispiace,vecchio mio". Poi si voltò e sorridendomi mi disse:"E'un vero peccato. Sai,sono molto amici. Ma d'altronde,in che altro modo potrebbe andare a finire? I comodini non son fatti per i giochi dei bambini,non vanno abbastanza veloci.Un comodino sta,null'altro. Non dispiacerti però,resto io a prendermi cura di coloro che rimangono,non sono soli. Tu promettimi solo che tornerai a trovarci,così la trottola potrà raccontargli di tutte le avventure che avrà vissuto in ogni altrove insieme a te,d'accordo?" Solo un bambino può assorbire una spiegazione del genere senza troppo scomporsi e con assoluta naturalezza mi sputai su una mano e gliela porsi. Lui,che non era un bambino,rimase interdetto un istante prima di lasciarsi scappare un sorriso,sputarsi su una mano e stringere la mia. Il giorno del mio ottavo compleanno fu il primo di molti che trascorsi nel piccolo Negozio Nostalgia: ogni settimana,il sabato pomeriggio,il mio nonno veniva a prendermi perchè potessi onorare la mia promessa. Ci teneva,ne era stato testimone,l'aveva suggellata. Quando un sabato pomeriggio si fecero le cinque e non lo vidi arrivare,capii senza bisogno di spiegazioni. Lo stesso accadde quando,parecchi anni dopo,sempre di sabato pomeriggio,trovai il cartello "chiuso" appeso alla porta sbarrata. Ma ora,che son diventata vecchia,e stanca,prima di chiudere gli occhi sulla mia poltrona preferita,niente più che un cumulo di pelle scucita ma a cui tengo come ad uno sposo,mi rigiro tra le mani una piccola trottola verde,che lucida non è più da un bel pò,e appoggiata ad un grosso comodino nero,il più grosso che possiate immaginare,vi scrivo questa storia perchè voi sappiate di quale magia si celasse in questa umile bottega prima che qualcuno chiudesse a chiave la porta dopo aver voltato il cartello dal lato della scritta "chiuso" per l'ultima volta.

lunedì 22 ottobre 2012

SUFFRAGETTE A NOI!

Oggi,h 13. In una Cesenatico affollata di gente in ritardo per il pranzo la mia macchina decide di mollarmi sotto ad un cavalcavia, causando ovviamente il maggior danno possibile alla circolazione stradale. Ok, sono un'idiota, lo ammetto: troppo a lungo ho gareggiato con la spia della riserva e nella quotidiana sfida che da sempre ci lanciamo oggi ha vinto lei. Con indosso la mia divisa da infermiera, (più simile a quella dei meccanici della Ferrari in effetti), e un'espressione atterrita, tra i clacson e gli insulti degli automobilisti, tento i numeri di emergenza di polizia, vigili urbani e carabinieri all'unico scopo di sentirmi palleggiata tra un centralino e l'altro. Rivolgo dunque una supplica al carroattrezzi fermo in fila, il quale, snobbandomi senza abbassare il finestrino, mi indica l'orologio: immagino che per il signore il gesto sia più che esaustivo e capisco anche che questo sia il massimo della cavalleria che ci si può aspettare in questo secolo infame. Poi, come un Superman in gonnella,vedo scendere a passo sostenuto Carlotta, vecchia amica dai tempi delle scuole elementari. Due sole donne, a furia di maledizioni e sudore, riusciranno a spingere l'odioso ammasso di ferraglia fino al centro della rotonda. In salita. Solo allora, tra tutto lo sciamare di macchine infastidite dal nostro ingombro, alcuni signori si fermeranno ad aiutarci, non senza ironici commenti circa la curiosa assenza di uomini solerti. A quel punto, andare a prendere la benzina, rubare una tanica di detersivo da un cortile e fabbricare un imbuto con una cartelletta di plastica alla Mc Gyver, come epilogo, mi pare davvero l'unico possibile.

martedì 18 settembre 2012

Spinster power

Non me ne frega niente se mi avvicino sempre più al prototipo zitella-standard che parla con gli animali,conduce vita ritirata,va a dormire presto e contempla le cose in solitudine:sarà un clichè ma oggi,in una spiaggia deserta,a mollo coi miei cani a raccogliere vongole,ero terribilmente felice e somigliavo a me stessa più che mai!

giovedì 22 marzo 2012

Lapidi di carta e sedie di plastica

Sta mattina,mentre veniva su il caffè,il mio coinquilino esulta e mi comunica di aver appena concepito l'idea del libro che non scriverà mai; trama,struttura,personaggi,tutto si delinea per lui con una chiarezza limpidissima. Rifiuta di raccontarmelo e mi svela solo il finale,in cui,sotto uno strato di carta tratteggiata,campeggia in ultima pagina la lapide del protagonista:date,epitaffio e foto al gran completo. Proclama il suo solito "Vita,malattia mortale" e zucchera il caffè. Dopo aver mentalmente ringraziato il cielo di avermi messo accanto una persona capace di simil riflessioni mentre io ancora lotto per recuperare la coordinazione occhio-mano necessaria ad avvitare la moka,rivango l'amarezza di non aver mai avuto folgorazioni del genere. Mi piace scrivere ma non sono mai riuscita ad avere una visione d'insieme così ampia da provare a farne un libro. Quando comincio devo anche finire e solo in corso d'opera scopro dove quelle parole vogliano andare a parare. Stupita seguo il flusso di pensieri gettato sulla carta fino a diventare lettrice a mia volta più che artefice. Così come ora,alla fine di questa giornata cominciata con la lapide di carta a strappo,su una sedia di plastica accanto ad un letto d'ospedale,chiedo in prestito una penna ad un'infermiera e dietro l'estratto conto scrivo queste righe. Lo faccio per tranquillizzarmi,per noia,per lasciare traccia di ciò a cui sto pensando,per rompere l'ipnosi del contagocce della flebo,per smettere di ascoltare respiri stanchi chiedendomi se siano gli ultimi. Dalla lapide di un libro ad un confronto scritto con la morte,che si sa,negli ospedali è di casa. Aleggia su ogni cosa: gli odori,i muri dai colori pastello,i copriletti con la scritta Biancheria Uso Ospedaliero,le luci d'emergenza,i lamenti,lo sciabattare in corridoio. Fatte poche eccezioni tutto comincia e finisce qui. Tutto considerato si poteva pur fare lo sforzo di render sto posto meno inospitale e anonimo! Un aeroporto: gente che arriva e gente che se ne va. E in mezzo tempo che passa,attesa di qualcosa di inevitabile ma che ci coglie sempre impreparati. Ed è come stupirsi ogni volta che il sole sorga,che il fuoco bruci,che ad un certo punto ci scappi la pipì. Lo sai,lo hai sempre saputo,è l'unica cosa davvero certa,eppure... le ore passano ed io comincio a chiedermi se sul serio anche domani spunterà il sole a liberarmi da questa luce artificiale.

giovedì 8 marzo 2012

Mr Gwyn

"Poi,per qualche giorno,Rebecca non aveva più voluto vedere il suo ragazzo stronzo.
Ma nemmeno allora aveva smesso di amarlo.
Lei sapeva,d'altronde,che il suo corpo l'avrebbe sempre destinata ad amori assurdi.
Nessun uomo pensa di desiderare un corpo come quello.
Ma l'esperienza aveva insegnato a Rebecca che molti invece lo desiderano ed è spesso il risultato di una qualche ferita che non vogliono ammettere.
Spesso hanno paura del corpo femminile,senza saperlo.
Alcune volte hanno bisogno di disprezzare per eccitarsi,e allora possedere quel corpo li fa sentire bene.
Quasi sempre c'era una sorta di attesa di perversione in circolo,come se scegliere quella bellezza anomala comportasse necessariamente l'abbandono dei modi più semplici e rettilinei del desiderio.
Così,a ventisette anni,Rebecca aveva già un mucchio di ricordi sbagliati,dove a stento avrebbe potuto ritrovare la dolcezza semplice di un momento pulito.
Non le importava.
Non c'era nulla che si potesse fare,a riguardo.
Perciò rimaneva con il suo ragazzo stronzo.
Perciò non si era stupita quando Jasper Gwyn le aveva fatto quella proposta.
Era esattamente il genere di cose che aveva imparato ad aspettarsi dalla vita."


"Mr Gwyn" di Alessandro Baricco

martedì 14 febbraio 2012

Un buon non-compleanno a me!

Nella notte tra il 13 e il 14 febbraio di tre hanni fa ho avuto un brutto incidente d'auto, occasione per uno di quei bivi alla sliding doors in cui si devia dal sentiero di briciole di pane che seguivi nella vita.
In un attimo mi son trovata senza casa, senza lavoro, abbandonata dalla mia famiglia e con le gambe rotte...momenti orribili,mica brustolini.
Lo straordinario però è che è stata la cosa migliore che mi potesse capitare.
Da tempo ormai sguazzavo in un limbo di insoddisfazione e apatia, frustrazione peggiore di una crisi da affrontare, di problemi da risolvere: stavo male senza capire perchè, senza avere un nemico contro cui impugnare armi e combattere.
Ero ostaggio di me stessa, imprigionata in un colloso circolo vizioso.
E così trascinavo i giorni, sopravvivendo, null'altro.
Quell'incidente mi ha costretta a riappropriarmi di me stessa, mi ha scrollata dal torpore facendomi gioire del semplice fatto di essere ancora viva.
Per la serie non tutto il male vien per nuocere...
Da quella notte so che ogni giorno è un regalo; ho imparato la libertà per il semplice fatto di poter camminare, l'indipendenza perchè sono in grado di fare la doccia senza aiuto, il valore del tempo perchè non è infinito e che nessun problema è davvero tale finchè posso arrivare da sola allo scaffale col barattolo dei biscotti.
Ho ricominciato la conta daccapo, con un nuovo compleanno che ci tengo a festeggiare,(possibilmente in viaggio, perchè potrebbe mai esserci festa più bella?!?), un punto zero dacchè sono una persona diversa, forse non migliore ma sicuramente più felice, equilibrata e soprattuto grata.
Perciò..."un buon non compleannooooo aaaaaaa meeeeeeeeeee!!!"

Manna

Siamo in Romagna e da giorni nevica che Dio la manda.
Disagi e gesti di solidarietà spontanei, conditi da una certa dose di ironia e dignità, si bilanciano e fanno sì che da un'esperienza apparentemente brutta questa terra trarrà indicibili benefici, quali autostima e un profondo senso di fiducia nel prossimo.
A me ha regalato molto: tempo,nuovi riti e il gusto di sentire di essersi guadagnati cose come il pane fresco, l'aperitivo con gli amici e l'accesso alla mia casa!
A suo modo Dio ci ha mandato davvero la manna dal cielo.

martedì 7 febbraio 2012

Fuoripista

Saper seguire l'ispirazione del momento, abbandonarsi all'istinto, concedersi all'improvvisazione, all'errore, fin'anche al lusso della contraddizione è una preziosa forma di libertà; considerata non particolarmente nobile, implica il coraggio di mollare la fune con la quale andiamo in cordata con gli altri, rinunciare al sentiero battuto del senso comune.
Per chi come a me è stato insegnato il valore della coerenza avventurarsi tra i propri desideri con onestà può svelare un sottobosco di pensieri arbitrariamente ignorati, lì così, a macerare inutilmente sotto la cupola del "non posso,non va bene".
Poi azzardi un'occhiata franca e senti che anche solo lo stargli avanti, l'osservarli, l'ammetterli, foss'anche solo a se stessi, provoca come una vertigine: li osservi stupita e ti chiedi da dove cavolo saltino fuori,che tu mica ne sapevi niente che quei desideri se ne stavano lì, a foderarti lo stomaco.
Ora che li vedi non potrai coprirli di nuovo come polvere sotto a un tappeto.
E quella vertigine si paleserà, concretizzandosi in una frase netta, parole che ti costringeranno a spalle al muro, un punto di non ritorno: "E mò?"

sabato 4 febbraio 2012

Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento

"Cristo, ma le vedevi le strade?
Anche solo le strade, ce n'era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una
A scegliere una donna
Una casa,una terra che sia la vostra,un paesaggio da guardare,un modo di morire
Tutto quel mondo
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce
E quanto ce n'è
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla...
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n'erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. E' un viaggio troppo lungo. E' una donna troppo bella. E' un profumo troppo forte. E' una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro.
Per favore"
Novecento (Alessandro Baricco)

mercoledì 25 gennaio 2012

E guardo il mondo da un oblò

“La solitudine procura strani compagni di letto”.
Questa una delle leggi di Murfy che racchiude la grande verità della vita dei single.
E così è un’attimo accogliere tra le braccia il calore dei soggetti più disparati,sempre afflitti dalle più diverse e articolate psicopatie emotive.
Questo statisticamente parlando,ovvio.
Tra i miei prediletti da iscrivere a terapia riabilitativa,(perchè la Sindrome Della Crocerossina è la mia di turba!) ci sono i taciturni.
Trattasi di quei soggetti ombrosi,dediti al mutismo,spesso molto affettuosi e passionali,che però possiedono le stesse capacità comunicative di un boiler dell’acqua calda.
Ecco,i tipi così mi fanno impazzire.
Ci casco sempre.
La Giovanna d’arco che è in me veste le sue paccottiglie da battaglia e sfida mulini a vento in quantità industriale tentando di riscattare quella voce dal silenzio.
Nessuno stupore se queste guerre mi vedono puntualmente sconfitta:non si cava il sangue dalle rape.
Eppure è la recidività a lanciare interrogativi:cazzo,volta dopo volta non dovresti aver razzionalizzato il fallimento insito in partenza? Forse.
Ma l’esca a cui abbocco è sempre la stessa: lo sguardo.
Quegli occhi intensi dietro ai quali intuisci sfilare un modo sotterraneo,unico spiraglio a tradire lo sconfinato brulicare di pensieri inafferrabili e dalla profondità sconcertante.
Bé,non è così.
In quegli occhi non si dibatte il senso del bene e del male,lussuria,salvezza,tentazione,speranza e paura.....no.
Lì si agita il mare che vedresti da un’oblò,lo sciacquettio.
E se proprio hai culo gabbiani in lontananza.

sabato 14 gennaio 2012

Preghiera

"Possano coloro che ci amano amarci,
e a coloro che non ci amano possa Dio cambiare i loro cuori,
e se non riesce a cambiare i loro cuori almeno gli storca le caviglie
così potrò riconoscerli quando zoppicano."

Tentazioni d'amore (film)

Intuito femminile

Culo o sfiga che sia, le donne sono dotate di antenne che gli uomini nemmeno si sognano.
Cogliere una variazione d'atmosfera, il soffermarsi di uno sguardo quel secondo di più, scoprire un gesto nell'angolo più estremo del proprio campo visivo e, semplicemente, capire. Una banale somma.
La saggezza starebbe nel non formulare accuse, tramutando un sospetto in certezza, ma le informazioni raccolte in quell'elaboratissimo pallottoliere che è un cervello femminile si compongono in un'immagine nitida, impassibile d'errore, un calcolo esatto.
Che fare dunque?
Scartata la rissa e il mettersi a fare pipì negli angolini per marcare il territorio, rimane un'unica opzione dignitosa: pagare e tornarsene a casa. Da sola.
E se il primo messaggio che ricevi da lui, lui al quale ai taciuto qualsivoglia congettura, comincia con un: "Non ho fatto niente di male.." avrai conferma dell'aver avuto ragione.
Purtroppo.

lunedì 9 gennaio 2012

Sondaggio:

Ma...se lui si addormenta nel mio letto alle 19...vuol dire che ho sbagliato qualcosa???

venerdì 6 gennaio 2012

Il più bastardo

Precisamente 23 giorni fa Emma, il mio cane, un golden retriever, ha dato alla luce 9 cuccioli dopo qualcosa come 20 ore di parto.
Per tutto il tempo sono rimasta seduta in terra accanto a lei indignandomi e inveendo contro sta gran puttanata della Natura che prevede cose orribili, disgustose e dilanianti per riprodurre la specie.
Già assistere alla nascita di mio nipote mi aveva sconvolta al punto da farmi nutrire il forte sospetto che le mie tube si siano sigillate da sole e la stoica dignità del mio cane è stata un'ulteriore lezione; le ho sempre voluto un bene dell'anima ma ora provo per lei più stima di quella che mi genera la maggior parte delle persone che conosco.
I cuccioli, presto rinominati "i miagolini" per la produzione di suoni a quik quik che ricordano i randelli di gomma, divisi tra 4 maschi e 5 femmine, si somigliano bene o male tutti.
Manca il classico cicciobomba da nidiata, pezzature distintive o malformazioni particolari.
A tutt'oggi, pur spugnettandomeli ogni santo giorno (perchè come per un sacco di altre cose scopri dopo che sono meno facili o romantiche di come te le immaginavi) ce n'è solo uno che si è guadagnato un'identificazione: il bastardo del gruppo.
Nato certamente per settimo in un licquido nero che prometteva la venuta al mondo del demonio è stato quello che ha fatto penare di più la mamma per uscire.
Lievemente più grosso e più scuro degli altri mostra già dominanza e mastica i fratelli come cewing gum tutto il giorno.
Vorrei poter dire che riverso su di lui maggiori attenzioni per garantirmi che non verrà rispedito al mittente da un'auspicabile famiglia adottiva esasperata, ma la verità è che tra tutti è stato da subito il mio prediletto, l'unico che ho preso in considerazione di tenermi.
Che io subisca il fascino del bastardo anche coi cani?!?
Ai posteri l'ardua sentenza....