domenica 9 dicembre 2012

Le luci nelle case degli altri

Nevica.
E' una di quelle notti lunghissime e fredde in cui per strada non si incontra nessuno e mi ritrovo a girovagare nel buio insonne di chi cerca risposte. 
Infagottato in un vecchio cappotto mi trascino nella tormenta,tanto contratto da sentire quel familiare dolore ai muscoli,alle mani,a tutto.
E quella lunga strada è il tempo,il freddo la solitudine,la neve le speranze,le illusioni,le aspettative.
Un barbone dei sentimenti,un mendicante di amore.
La questua dura da tutta una vita.
Mi ha fatto abitare case in passato,accendere camini,spolverare mobili,sedere a tavola,fare bucati,appendere tende.
Ma volente o nolente ad un certo punto mi sono sempre ritrovato per strada,a sbirciare dalle finestre le luci nelle case degli altri.
Così mi capitò di bussare a più porte.
Alcune rimasero sbarrate,abitate da diffidenti,che non vollero permettere ad un forestiero di portare in quelle stanze odori sconosciuti,lingue straniere e quello strano bagaglio di estraneità che viaggia in groppa a chi viene da lontano.
Altre porte si aprirono invece e dopo una rapida occhiata fui invitato ad entrare.
Una volta,ad esempio,mi ritrovai ad una tavola imbandita:i padroni di casa seduti alle estremità e tutto uno sciamare di ospiti,di bocche,di mani,a prender posto,a lasciarlo.
Ci si accalcava sul cibo,in 4,in 6,in 10,ma il tutto in uno strano silenzio.Solo mandibole e forchette sui piatti. Sorrisi cordiali e occhi tristi.
Brontolii della pancia sempre vuota nonostante tutto quell'abbuffarsi.
Mi sentii terribilmente a disagio.
Feci domande,protestai,mi rabbuiai ma non ricevetti altra risposta se non quei sorrisi cordiali e quegli occhi tristi,così me ne andai.
Un'altra volta trovai una casa piena di libri,senza la stufa,abitata da una donna sola.
Era intenta a vergare parole sui muri,ossessivamente.
Mi mise in mano inchiostro e pennello,mi invitò a fare altrettanto ed io ubbidii.
Passarono le ore,il freddo mi rattrappiva le dita,mi spaccava le labbra.
Perchè vivere in questo gelo?Per far asciugare l'inchiostro,rispose.
Domandai da mangiare,una tisana,qualunque cosa potesse scaldarmi da dentro.
Ricevetti yogurt e gelati.
Uscii. La tormenta non era peggiore di quella casa.
Poi lo spiraglio di una porta socchiusa mi fece intravedere un camino acceso,mi intrufolai furtivo e due mani mi ghermirono per le spalle,mi spinsero in un ripostiglio.
Superato lo spavento mi trovai accucciato nel buio,abbracciato ad un corpo caldissimo che finalmente dava sollievo al mio.
Non feci domande,amai con passione.
Anche quando si alzò e tornò nella stanza accanto,lasciandomi in attesa.
Ricomparve,mi si gettò addosso.Lo accolsi nuovamente,come una benedizione,mi ci fusi insieme e ancora aspettai,ogni volta che se ne andava.
Solo col trascorrere delle ore capì che non sarebbe rimasto con me,che un'altra voce risuonava al di fuori dello sgabuzzino,rideva cristallina dalla stanza con la luce e col camino.
Aspettai allora il silenzio del loro riposo e sgattaiolai via,nuovamente nel buio di quella strada da cui sentii le sue grida di rabbia giungermi lontane.
Dalle finestre delle case vidi famiglie con bambini giganteschi,grandi come tutta la stanza e adulti intenti a rimpinzarli per farli lievitare ancora.
Altre abitate da coppie mute,o sorde,o cieche.
Sbirciai le case di persone sole,rannicchiate in un angolo.
Altre le vidi sbracciarsi perchè entrassi,piangere,urlare.
Mi affacciai in case vuote,diroccate,sporche o troppo stipate di roba perchè ci si potesse vivere in due.
Non volli cedere allo sconforto e provai ad un'ultima porta.
La casa era piccola,di una forma strana.Proveniva musica dall'interno e la luce aveva una sfumatura azzurra,curiosa.
Mi fu aperto,offerto cibo,un letto,un bagno caldo.
Accettai con gratitudine,mi sdebitai come potevo.
Lavai in terra,cucinai,rammendai calzini.
Mi sentivo finalmente a casa.
Dopo un'ora mi fu chiesto di andarmene.
Rimasi a lungo fuori dalla porta,raspando,come i gatti.
Mi fu riaperto,ricevetti abiti puliti,una fetta di crostata.
Con nuovo zelo spolverai i mobili,adornai la stanza,lessi poesie ad alta voce,ma di nuovo fui messo alla porta.
Aspettai nel freddo,tra la neve. Non capivo.
Attraverso la porta chiusa sentii piangere;lacrime calde dentro,lacrime gelate fuori.
Ogni volta che stavo per andarmene,consumato dalle intemperie,ero accolto ancora,per essere ancora cacciato.
Non so quanto durò,ne chi disse basta per primo,ne se davvero mai qualcuno seppe dire basta.
Quello che so è che qualcun'altro ora abita quella casa.
Quello che so è che per imparare a sopravvivere al freddo non lo si deve interrompe col calore incostante delle case degli altri,che gli occhi sanno scorgere le forme nel buio solo se gli si dà il tempo di abituarcisi. Perciò,a questo punto della lunga notte del tempo,capisco che la saggezza sta nella scelta di abitare la neve.

venerdì 7 dicembre 2012

G.

Puoi togliermi le parole
la presenza
il tepore nel letto.
Puoi privarmi della metà
del vorrei
della maternità promessa.
Squarciami pure l'idea di incontrarti per strada
della tua voce al telefono.
Ma sempre saprò di mancarti
continuerò a sentirmi pensare
bramare,rimpiangere
maledire
ed aspettare.
Impressa su te come l'orma di un calcio
cucita addosso
sutura,aderenza.
Scegli lei per uno specchio che ti fa bello,sicuro
ed in questa bugia
fai la tua prigione.
Scegli lei
non perchè meglio di me
ma perchè di lei tu ti senti migliore.
O così credi.